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L’assalto del Pesce-cane 19

Pensava al modo d’uscire da quella situazione, che d’ora in ora diventava più grave o alle ultime parole del marinaio?...

I suoi compagni, pure pensierosi e tristi, tenendosi strettamente a cavalcioni di quell’avanzo della Liguria, gettavano sguardi inquieti sulla sconfinata superficie del mare, forse colla speranza di veder apparire, sulla linea argentea dell’orizzonte, qualche macchia oscura o qualche punto luminoso che indicasse la presenza d’una nave salvatrice.

— Ascoltatemi, — disse a un tratto l’uomo di mare, scuotendosi. — Sapete dove precisamente trovavasi la Liguria nel momento del disastro?... Tu, Enrico, eri di quarto, se non m’inganno.

— All’est delle isole Sulu, — rispose il marinaio.

— Sapresti dirmi la distanza?

— La ignoro, signore. Quando il capitano ha fatto il punto, non ero presente.

— E nemmeno io, — disse Piccolo Tonno.

— Forse siamo a due o trecento miglia da quell’arcipelago, — disse il signor Albani, come parlando fra sè stesso.

— Lo credo, — rispose Enrico.

— Una distanza enorme da attraversare, per uomini privi d’un canotto e senza un sorso d’acqua e dei biscotti.

— Senza poi contare che l’arcipelago di Sulu è abitato dai più birbaccioni pirati della Malesia, — aggiunse il marinaio.

— Vediamo, — disse il signor Albani. — Dove ci porta questa corrente, che ci allontana dal luogo del disastro?

— Aspettate, signore, — disse il mozzo. — Ho una piccola bussola in tasca, regalatami dal capitano. —

Estrasse il prezioso oggetto, lo espose ai raggi della luna e guardò la lancetta.

— Andiamo verso l’est, — rispose poi.

— Verso l’Arcipelago? — chiese il marinaio.

— Sì, — confermò il signor Emilio.