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I mostri dell’Oceano 35

Quella parte dell’isola, le cui sponde erano così elevate, pareva che fosse assai accidentata e formasse le ultime pendici della montagna già scorta, la quale s’alzava a meno di un miglio dal mare.

Quel terreno saliva e scendeva in forma d’ondulazioni assai accentuate, ed era coperto da folte boscaglie, le quali poi s’arrampicavano sui fianchi del monte.

Si vedevano alberi d’ogni specie incrociare i rami, tanto crescevano uniti, gli uni altissimi e grossi assai, altri esili e più bassi e altri ancora nodosi e contorti, tutti coperti da piante arrampicanti che formavano dei pittoreschi festoni.

Molti uccelli di diverse specie volavano quà e là fuggendo in mezzo agli alberi più folti, mentre sulle sponde volteggiavano bande di rondini salangane e parecchi volatili acquatici.

Nessuna traccia d’abitanti si scorgeva su quella costa: non canotti, non capanne, non un fuoco o del fumo che indicassero la presenza di qualche abitante. Si vedevano invece numerose scimmie, di quelle chiamate nasi lunghi (Nasalis larvatus), dalla fisonomia comica, col naso lungo, grosso, a punta rigonfia e rossa come quella dei discepoli di Bacco e che erano occupate a saccheggiare le frutta degli alberi.

— Nessun abitante, signore? — chiese il marinaio, raggiungendo Albani.

— No, finora, — rispose questi.

— E da mettere sotto i denti, nulla?... Ho un appetito formidabile e vi assicuro che darei un anno di vita per una zuppiera di quel giupin, che papà Merlotti sapeva fare così delizioso.

— E io due per un piatto di maccheroni col pomodoro, — disse il mozzo.

— Per ora vi accontenterete delle frutta di questi durion, — rispose Albani sorridendo.

— Sono buone almeno? — chiese il marinaio.