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I Robinson Italiani 37

— O del cacio-cavallo putrido? — chiese il mozzo.

— Toh! — esclamò il veneziano. — Io vi offro le migliori e più delicate frutta della flora malese e voi cominciate a protestare di già.

— Le vostre frutta saranno squisitissime, signore, ma tramandano un profumo da far scappare perfino i cani.

— Io invece ti dico, Enrico, che i cani addenterebbero subito e con molto piacere la polpa di queste frutta, anzi ti dirò che sono ghiottissimi, avendo essa il sapore più d’una sostanza animale che vegetale. Orsù, non fate gli schizzinosi. —

Il signor Albani spaccò un frutto, adoperando la scure per non ferirsi le mani con quelle punte pericolose, ed estrasse la polpa che conteneva, facendo uscire dei grossi semi avviluppati in una pellicola.

— Inghiottisci questa polpa, — disse, offrendola al marinaio. — Se l’odore ingrato ti dà noia, turati il naso. —

Il marinaio, quantunque avesse i suoi dubbi sulla squisitezza di quelle frutta, ne mise un pezzo in bocca e, contro ogni previsione, lo inghiottì avidamente.

— Ma è deliziosa! — esclamò. — Migliore della crema più delicata e più profumata delle frutta più pregiate dei nostri paesi. Mangia, mio Piccolo Tonno, mangia!... I gelati della tua Napoli la perdono nel confronto. —

Il mozzo, incoraggiato da quelle parole, si turò il naso e mandò giù.

— Chi direbbe che queste frutta così puzzolenti siano così buone! — esclamò. — Ancora, signor Emilio, ancora! —

Le frutta abbondavano e, possedendo la scure, i naufraghi non si trovavano impacciati ad aprirle. Abituatisi presto a quell’odore ingrato, fecero una vera scorpacciata di quella polpa tenera e così delicata.

— Ma i semi non si mangiano? — chiese il marinaio.

— Sì, — rispose Albani. — Si arrostiscono come le nostre castagne, e ne hanno anche il sapore.

— Signor Albani, facciamo una raccolta di queste frutta.