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Gli alberi del veleno 63

uno spino assai acuto fornitogli dai bambù selvaggi e all’altra una specie di tappo di midolla vegetale, in forma di cono, del calibro della canna delle cerbottane.

Prese le sue armi e i suoi dardi e invitò gli amici a seguirlo. Presso un macchione di palme, una banda di kakatoe nere, splendidi uccelli grossi come un gufo, col capo sormontato da un ciuffo di piume, stava appollaiata fra i rami, cicalando a piena gola.

Il veneziano introdusse una freccia nella cerbottana, accostò questa alle labbra e dopo aver mirato con grande attenzione, soffiò con forza.

Il leggero dardo s’innalzò rapidamente e andò a colpire una delle più grosse kakatoe. L’uccello, ferito sotto la gola, con una precisione così straordinaria che indicava come il cacciatore fosse già assai esperto nel maneggio di quell’arma, interruppe bruscamente i suoi cicalecci e cadde a terra starnazzando disperatamente le ali.

Il mozzo fu lesto a raccoglierlo e scappò verso la capanna gridando:

— Vado a metterlo allo spiedo.

— Che colpo maestro!... — esclamò il marinaio, la cui sorpresa non aveva più limiti. — Ma voi avete adoperato ancora queste canne?

— Sì, a Pontianak, — rispose il veneziano, sorridendo.

— E credete che riuscirò anch’io a colpire gli uccelli?...

— La cosa non è poi tanto difficile. Fra tre settimane, esercitandoti tutti i giorni, potrai diventare un abile cacciatore.

— Ora che possediamo le armi, che cosa ci procurerete, signor Albani?...

— Il pane.

— Il pane!... E ne troverete?...

— Ho già veduto stamane delle piante che contengono la farina e domani andremo a tagliarle. Poi, se non sopravvengono degli incidenti, penseremo al resto. Andiamo a cenare, Enrico: abbiamo bisogno di un arrosto, dopo tanti molluschi e tante frutta. —