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Il pane dei Robinson 67

mano toddi, otterremo un liquore inebriante, molto pregiato chiamato tuwah. Somiglia all’arak.

— Mi piace molto l’arak, signore! — disse Enrico. — Terremoto di Genova!... Che alberi miracolosi!

— Non ho ancora finito, — disse il veneziano. — Dalle foglie possiamo ricavare il gomuti, una specie di crine che si può filare e che serve per fabbricare delle funi molto resistenti; e colle foglie si possono intrecciare delle belle stuoie. Che cosa volete chiedere di più a una pianta?...

— Ma se tutte queste piante potessero crescere in Italia, non vi sarebbe più miseria da noi! — esclamò il marinaio. — Ma queste terre sono paradisi terrestri!...

— Che noi sfrutteremo, marinaio, — disse Albani. — Mano alla scure e abbattiamo uno di questi alberi.

— E lo zucchero?... — chiese il mozzo.

— Per ora cerchiamo di procurarci il pane; un altro giorno avremo lo zucchero e anche il tuwah. —

Il marinaio afferrò la scure e intaccò l’albero più grosso, vibrando colpi formidabili. La corteccia era dura ma il genovese aveva i muscoli solidi e dopo un quarto d’ora la pianta rovinava al suolo con grande fracasso.

Il signor Albani mostrò ai suoi compagni una massa biancastra, farinosa, racchiusa nella corteccia dell’albero.

— Ecco il nostro frumento per fare il pane, — disse. — A me ora la scure: bisogna tagliare la pianta in varii pezzi per estrarre la fecola. —

Si mise a maneggiare l’arma con grande vigore, tagliando l’albero in pezzi lunghi un metro. Il marinaio di quando in quando lo surrogava nell’aspro lavoro.

Quand’ebbero ottenuto sette cilindri di lunghezza quasi eguale, il veneziano, che pareva fosse instancabile, tagliò un grosso ramo che doveva servire come di pestello, e si mise a percuotere con grande forza la fecola racchiusa in quei tronchi, facendola uscire.

Il mozzo, che aveva trovato varie foglie di banani selvatici di grandi dimensioni, la raccoglieva con molta cura.