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74 Capitolo undecimo

invece con piedi di dimensioni esagerate, pure armati d’unghie ricurve.

Questi scimmioni che i malesi ed i dayachi chiamano mias pappan o miass kassà, vivono nascosti nelle più fitte foreste del Borneo e delle isole vicine, tenendosi per lo più sugli alberi.

Dotati d’un vigore tremendo e d’una agilità meravigliosa, salgono con rapidità fulminea sugli alberi più alte per provvedersi di frutta, e sono capaci di attraversare una foresta intera senza mai scendere a terra.

Non si trovano però a disagio a terra e corrono facilmente, non mantenendosi diritti però, poichè si servono delle mani e dei piedi. Il loro galoppo è però uno dei più stravaganti e ridicoli muovendo simultaneamente il braccio e la gamba destra e viceversa, sicchè pare che corrano obliquamente.

Conscii della loro forza, affrontano coraggiosamente le più formidabili fiere delle foreste: non temono nè gli uomini, nè i coccodrilli, nè i serpenti, nè le tigri e quando sono assaliti sono d’una ferocia spaventevole.

Lasciati tranquilli però, non assalgono nessuno e se incontrano degli uomini si limitano a guardarli con curiosità, poi proseguono tranquillamente la loro via.

Il mias che era salito sui bambù della capanna, attratto senza dubbio da una irresistibile curiosità, doveva avere dei gravi motivi per scendere così precipitosamente e così la pensava il veneziano, poichè invece di inviargli la freccia mortale, aveva rialzata la cerbottana, curioso di sapere che cosa stava per accadere.

Giunto a terra, il mias pappan attraversò con un solo balzo il recinto e si precipitò verso i cespugli emettendo una specie di latrato furioso.

Ad un tratto, un oggetto lungo lungo e grosso gli piombò addosso e lo avvolse da capo a piedi.

— Un boa!... — esclamò il veneziano.

— Un serpente? — chiesero il marinaio ed il mozzo.