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Pagina:I Vicerè.djvu/143

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I Vicerè 141


Giusto in quel momento, don Giacinto entrò nella sala. Era così turbato in viso e si capiva così chiaramente che portava una cattiva notizia, che ognuno tacque.

— Non sapete?

— Che cosa?... Parlate!...

— Il colera è scoppiato a Siracusa!...

Tutti lo circondarono:

— Come! Chi ve l’ha detto?

— Adesso adesso, alla farmacia Dimenza.... Notizia sicura, viene dall’Intendenza!... Colera di quello buono: fulminante!...

Subito, come se don Giacomo lo portasse addosso, la conversazione si sciolse in mezzo ai commenti spaventati, alle esclamazioni dolenti: Raimondo accompagnò giù alla carrozza donna Isabella dandole il braccio; don Blasco vociava, in mezzo alla scala, sotto il naso del duca che andava a verificar la cosa:

— Il regalo dei fratelli!... Ah, Radetzky, dove sei?... Ah, un altro Quarantanove!..."


V.


Ogni altro interesse cedè come per incanto dinanzi all’universale inquietudine per la salute pubblica, giacchè della notizia portata da don Giacomo, sulle prime smentita, poi confermata, non fu possibile più dubitare quando, di lì a qualche giorno, non si parlò più di casi sospetti a Siracusa, ma del divampare del morbo a Noto. Il duca, deliberato di tornarsene a Palermo prima che le cose incalzassero e la via fosse chiusa, resistè ostinatamente agli inviti del principe, il quale s’apparecchiava a partire pel Belvedere all’annunzio del primo caso in città. L’anno innanzi, come nel ’37, gli Uzeda erano scappati alla loro villa sulle pendici della montagna, e poichè il colera non arrivava mai lassù, erano certi di liberarsene. Il principe, smessa a un tratto l’acredine,