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290 I Vicerè


Ma l’Onorevole non andò a letto. Raimondo, avvertito da Baldassarre che lo zio voleva parlargli, lo aspettava impaziente, smanioso, nella sua camera.

— Che cosa vuoi fare? — cominciò il duca, senza tanti preamboli.

— A proposito di che? — rispose il nipote, quasi non comprendesse.

— A proposito di tua moglie e della tua famiglia!... Tuo suocero è qui, non sai?

— Io non so nulla.

— Dopo che sei scappato via come un fuggiasco! Dopo che non ti sei fatto vivo per due mesi! Adesso mi par tempo che questa storia finisca.... Egli parlava con tono grave d’autorità, passeggiando per la camera con le mani incrociate sul dorso; Raimondo, sedutosi, guardava per terra, come un ragazzo intimidito dalla minaccia d’una lavata di capo.

— Che hai da dire contro tua moglie? — domandò a un tratto don Gasparre, fermandoglisi dinanzi.

— Io? Nulla....

— Lo sapevo bene! Volevo sentirne la conferma dalla stessa tua bocca. Perchè, dico, solo se avessi avuto da lagnarti di Matilde si potrebbe spiegare la tua condotta! Allora, perchè l’hai lasciata?

— Io non l’ho lasciata.

— Come? Sei qui da due mesi, non le hai scritto un rigo, non ti sei curato di nessuno dei tuoi, quasi non esistessero; e dici....

— Sono venuto qui perchè avevo da fare. Non posso star cucito alla gonna di mia moglie, insomma. — E lo guardò in faccia.

— Va bene; qui non si parla di star cucito! — rispose il duca. — Ma uno che parte per affari, per isvago, per una ragione qualunque, non va via come te ne sei andato tu, non lascia la casa per l’albergo....

— Non è vero!

— Me l’ha detto tuo suocero.... l’ho sentito ripetere da tutti....