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298 I Vicerè

stanza tigna in capo? Ha da ficcare dovunque il naso? Ma il perchè lo so io, il perchè.... lo so io, il perchè!....

E stava per continuare, per vuotare il sacco, quando entrò Baldassarre, grave e dignitoso come la solennità richiedeva.

— Eccellenza, — disse al duca, — ci sono le rappresentanze delle società che chiedono d’ossequiare Vostra Eccellenza.

Il deputato non ebbe tempo di rispondere che il barone s’alzò:

— Duca, fate pure, vi lascio libero.

— Ma no, restate!... Un momento, e torno subito....

— Ho qualche cosa da sbrigare anch’io; grazie!

— Verrete almeno a pranzo con noi?

— Grazie; parto oggi stesso; ho fissato uno straordinario.

Fu inutile insistere; il barone opponeva un rifiuto cortese, ma freddo. Salutò tutti in giro e andò via accompagnato dal duca che scendeva giù a ricevere i suoi elettori, mentre Raimondo s’avviava da parte sua alle proprie stanze. E i tre non erano scomparsi, che nella Sala Gialla cominciò un mormorio generale.

— Che maniera di stare in casa della gente! — esclamò donna Ferdinanda. — Non ha detto dieci parole in mezz’ora! — rincarò la cugina; — che cosa aveva? che gli hanno fatto? — E il marchese: — Quando si è di quell’umore non si va in casa delle persone!... — E come faceva il sostenuto! — aggiunse sua moglie.

Benedetto Giulente, dal suo posto, osservò:

— Quella partenza pare un pretesto.... per rifiutare....

Allora, senza rivolgersi al giovanotto, ma quasi rispondendo all’idea da lui annunziata, don Blasco tonò:

— La bestia, l’imbecille e il buffone in questo caso è chi invita!

Benedetto, quantunque il monaco non lo guardasse, fece col capo un gesto tra d’assenso a ciò che quegli diceva, tra di scusa per l’insistenza del duca.