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Pagina:I Vicerè.djvu/33

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I Vicerè 31

nè indietro, solo il cannone avrebbe potuto far luogo. Bisognò girare la situazione, aprire un varco fra la turma che gremiva la salita del Santo Carcere e di San Domenico e portare il feretro dal convento e dalla sacrestia: trascorse quasi un’ora prima che fosse posto sul catafalco.

I sonatori avevano già preso posto sul palco e sfoderato i loro strumenti, i frati accendevano con le canne lunghe i ceri dell’altar maggiore. E i curiosi stipati nella chiesa, continuando a parlar della morta, si rivolgevano insistentemente una domanda e si proponevano una quistione: «Chi sarà l’erede?...» Nobili e plebei, ricchi e poveri, tutti volevano sapere che direbbe il testamento, come se la morta avesse potuto lasciar qualcosa a tutti i suoi concittadini. Aspettavano, a palazzo, l’arrivo del contino da Firenze e del duca da Palermo per leggere le ultime volontà della principessa; e le opinioni, nel pubblico, erano diametralmente opposte: alcuni sostenevano che tutto sarebbe andato al contino; ma, quantunque la defunta odiasse il primogenito, era proprio possibile che lo diseredasse? «Nossignore: tutto andrà al primogenito: è vero che non lo poteva soffrire, ma è il capo della casa, l’erede del principato!....»

Un nuovo pigia pigia troncò di botto ogni discorso, infittì la folla in fondo alla chiesa: entravano le orfanelle del Sacro Cuore con le vesti verdi e gli scialletti bianchi: Baldassarre, tutto vestito di nero, le dirigeva verso l’altar maggiore, ingiungendo:

― Largo, largo, signori miei!...

Un bambino, mezzo soffocato tra la calca, si mise a strillare; un mendicante, riuscito ad entrare, inciampò contro un gradino d’altare e cadde per terra.


BENEFICENTE

COI   DERELITTI

L’OBOLO   DELLA   CARITÀ

TI FIA RESO

CENTUPLICATO

CON   L’ESPIATORIE   PRECI.