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378 I Vicerè

pubblica!» gli aveva consigliato il duca, spiegandogli l’eccellenza dell’impiego, offrendogli di farla venire da Torino. «Vostra Eccellenza ne ha dunque comprata?» gli domandò il marchese. «Ne ho comprata, ne ho venduta.... secondo i corsi.... capisci bene....» poi, quasi pentito d’avergli fatto comprendere che ci aveva speculato su durante i cinque anni passati a Torino, col comodo delle notizie appurate nelle anticamere dei ministeri, aveva mutato discorso. Il marchese titubò un pezzo, un po’ per fedeltà al principio borbonico, molto più per paura di perdere i suoi quattrini, frutto e capitale, con l’idea che l’Italia fosse sempre sul punto non che di fallire, ma di andare a rotoli; finalmente un giorno, incontrato il duca che veniva a riscuotere le cedole del semestre scaduto, vistolo venir via con un bel rotolo di monete, si decise. E la sera che annunziò al palazzo l’acquisto, bisognò sentir don Blasco!

— Ah pezzo di pagliaccio! Anche tu? Con l’Italia anche tu? Sei impazzito anche tu?

— Perchè? — tentò rispondere il marchese. — Al sessantasei, il capitale frutta il sette e mezzo per cento.... Le cedole sono pagate puntualmente alla scadenza....

Il monaco stava a sentirlo, spalancando tanto d’occhi, come aspettando di vedere fin dove sarebbero arrivate le enormità che quel bestione eruttava: alla fine scoppiò:

— Te ne netterai il fondamento, delle tue cedole!... Andrai a riscuoterle al luogo comodo, pezzo d’asino!... E rivolto a Chiara, con le mani in capo: — Fallo interdire!... Ti vuol rovinare!... L’impiego al sette per cento!... Se non ne vogliono neppure in elemosina?... — Girando poi uno sguardo tutt’intorno, con amara ironia: — Impiego sicuro, signori miei!... Quando la rendita napoletana era al cento e dieci!... Un altro poco e scenderà al cinque, la cartaccia sporca!... Allora con cinque lire di capitale, avremo cinque lire l’anno! Arricchiremo tutti quanti! Viva la cuccagna! Viva il gran Vittorio!

Il duca, che stava in un angolo con Benedetto spie-