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38 | I Vicerè |
― Prudenza, signori miei.... siamo in chiesa!
Giusto, la ripresa del Dies irae assordava tutti; i preti erano scesi verso il catafalco, benedicendo; la musica intonava il Libera me, riprendeva le frasi del principio, implorava il Requiem. «È finito?.... Se Dio vuole!» E un rimescolamento generale: chi era rimasto lontano dal catafalco e dalle iscrizioni vi si dirigeva; molti che non reggevansi più in piedi dalla stanchezza, s’avvicinavano alle porte; ma lì la confusione e la ressa ricominciavano più grandi; perchè tutta la gente rimasta fuori, credendo finalmente di poter entrare finita la messa, s’affollava tumultuosamente, cozzando contro quelli che tentavano uscire, travolgendo gli storpi, i ciechi e i mutilati che arrischiavano nuovamente di tender la mano ai passanti. «Adagio!.... I piedi!.... Che maniera!» e dominando quel vocìo veniva dalla piazza un incessante scalpitar di cavalli: le carrozze del corteo funebre che sfilavano una dopo l’altra, andandosene.
Il principe di Roccasciano, affacciato dalla terrazza, le veniva numerando:
― Sette tiri a quattro, sessantatrè carrozze padronali, dodici di rimessa ― disse, quando passò l’ultima. E fece il conto: ― A dodici tarì l’una, tolte quelle di famiglia, sono trentaquattr’onze!...
Allora l’onda degli spettatori cominciò a disperdersi. I poveri rimasti accoccolati lungo i muri poterono finalmente trascinarsi ai loro posti; ma oramai non passava più nessuno.
II.
Verso sera, mentre la servitù raccolta nel cortile commentava ancora la magnificenza del funerale, arrivò dalla via di Messina il conte Raimondo con la contessa Matilde. Baldassarre, udendo il tintinnio delle sonagliere, si precipitò giù per lo scalone e arrivò allo sportello