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I Vicerè 41

parlava con lui d’affari: del raccolto, del prezzo delle derrate, mentre la principessa di Roccasciano raccontava alla baronessa Cùrcuma un suo sogno, la madre che le era apparsa con tre numeri in mano: 6, 39 e 70, sui quali avea giocato dodici tarì di nascosto del marito. Le ragazze Mortara e Costante, amiche di Lucrezia, parlavano d’abiti a quest’ultima, per divagarla, quantunque ella non desse loro ascolto e rispondesse a sproposito, com’era sua abitudine; ma la cugina Graziella teneva da sola animata la conversazione, rivolgendosi a tutti ed a ciascuno, passando da una sala all’altra, chiacchierando d’abiti, di sarte, della Crimea, del Piemonte, della guerra, del colera. Stanca del viaggio, la contessa Matilde parlava poco, aspettando di ritirarsi nelle sue camere; don Cono, venuto a mettersele vicino, le recitava tutte le epigrafi da lui composte pel funerale: «M’è sovvenuto d’una variante; bramo il giudizio della contessa....» E il cavaliere don Eugenio giudicava povertà il lusso dei moderni funerali a paragone di quello di un tempo: «Nel 1692 fu perfino emanato un bando, in via di prammatica, per impedire l’eccedente sfarzo delle cerimonie mortuarie!»

Tutti s’alzarono al sopravvenire di donna Isabella Fersa con suo marito don Mario e con Padre Gerbini: il Benedettino reggeva galantemente sul braccio un velo della dama. Questa baciò tutte le Uzeda, fuorchè la principessa, la quale, schivandosi, presentò:

― Mia cognata Matilde....

Donna Isabella strinse forte la mano alla contessa e le si mise a sedere a fianco, sospirando:

― Che grande disgrazia! Ma bisogna fare la volontà di Dio!... Siete stati a Firenze?... Anche noi ci fummo l’anno scorso; ma voialtri allora eravate a Milazzo.... Una sola bambina finora?... Il conte aspetta un maschietto, naturalmente. Felice voi che avete una bambina: v’invidio, contessa, sapete....

Padre Gerbini faceva intanto il giro delle signore, discorrendo a lungo con le più giovani e belle, dicendo