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428 I Vicerè

in casa se non per dormire — quando ci dormiva. Lasciata la camera che aveva occupata al ritorno dal convento, s’era accomodato un quartierino al primo piano, dalla parte del secondo cortile, sfondando muri, murando finestre, aprendo una nuova scala, disordinando ancora un altro poco la pianta del palazzo. Il principe l’aveva lasciato fare. Non contento di starsene così interamente segregato dal resto della famiglia, con persone di servizio esclusivamente addette alla sua persona, adesso desinava solo, dichiarando che le ore di suo padre non gli convenivano. E il principe si piegava anche a questo, con grande stupore di quanti conoscevano la sua prepotenza, il suo bisogno d’assoluto comando. Il giovanotto faceva la bella vita: cavalli, carrozze, caccia, scherma, giuoco ed il resto. Finito, dopo l’incendio del Sessantadue, il Casino dei Nobili, egli aveva fondato, insieme con qualche dozzina di compagni, un Club che era la risurrezione più elegante e più ricca dell’antica istituzione: quantunque solo i nobili autentici vi fossero ammessi, Consalvo vi aveva ficcato due o tre giovanotti che non appartenevano alla casta, ma gli facevano da mezzani. Accordava la sua protezione e la sua amicizia solo a quelli che lo servivano, che lo ammiravano, che gli facevano la corte. Come al Noviziato, anche adesso derideva i meno nobili e meno ricchi di lui: un motivo di cruccio contro suo padre era appunto l’avarizia di costui che si lasciava prender la mano dai nuovi arricchiti. Il lusso esteriore degli Uzeda, che prima del Sessanta pareva straordinario, adesso cominciava ad esser agguagliato se non superato dai nuovi arricchiti, e mentre a palazzo i mobili di cinquant’anni addietro cadevano a pezzi e le livree del secolo passato servivano al pasto delle tignole, c’era gente che spendeva un occhio del capo a metter su case ed equipaggi col gusto moderno. Ma agli occhi del principe la vecchiaia dei mobili e delle livree era come un altro titolo di nobiltà; e se tutti tenevano adesso il guardaportone, mentre vent’anni addietro c’era in città