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della città, i quali, contro la firma d’una cambialina, gli davano quel che voleva. Quanto ai parenti, essi o lo incoraggiavano a scialare, o non si occupavano di lui, o erano disarmati dalla sua politica, giacchè egli sapeva prenderli pel loro verso, secondando le fisime di ciascuno. Solo Benedetto comprendeva che quella vita doveva costargli molto e sospettava qualcosa dei debiti; ma il giovanotto lo tirava dalla sua, solleticandolo nella sua vanità di patriotta, di ferito del Volturno, di futuro deputato; e del resto se Benedetto manifestava le proprie paure alla moglie perchè questa mettesse sull’avviso il principe:

— Di che ti mescoli? — saltava su Lucrezia. — Lascialo fare! Credi che mio nipote sia un pezzente, da non potersi permettere questo lusso? Può pagarli i suoi debiti, se mai!

Donna Ferdinanda da canto suo andava in estasi per la riuscita del suo protetto e, dalla soddisfazione, gli regalava di tanto in tanto qualche biglietto da cinque lire che il giovanotto, dopo essersi profuso in ringraziamenti, lasciava come mancia al cameriere del Caffè di Sicilia. Il duca, ingolfato negli affari, aveva qualche sentore dei pasticci del pronipote; ma bastava a questi dargli del salvatore del paese, del grande statista, o profetargli un posto al ministero, perchè il deputato si chetasse. Più tardi, per ingraziarsi meglio donna Ferdinanda, Consalvo le dava ragione se l’udiva gridare contro il fedifrago; e in questo era sincero, perchè, senza mescolarsi di politica, egli parteggiava pel governo assoluto, protettore dei signori, sciabolatore della canaglia. Questi sentimenti però non gl’impedivano di prender con le buone lo zio Giulente, al quale non dava tuttavia dell’Eccellenza, ma del semplice voi; e più tardi conveniva con la zia Lucrezia se costei lagnavasi di quella bestia del marito. Così, nonostante la freddezza pel padre, seguiva l’esempio di lui, pigliando ciascuno pel suo verso, secondando le fissazioni di tutti gli Uzeda. La zia Chiara già parlava d’adottare il bastardo della came-