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486 I Vicerè

società palermitana: «Sasà marita le sue figlie.... La moglie di Cocò ne ha fatta un’altra delle sue.... Il figlio di Jajà è scappato con una ballerina....» Cocò era il principe di Alì, Sasà il duca di Realcastro, Jajà il barone Mortara; e nessuno nominava qualche persona di Palermo senza che egli assicurasse d’essere con questa persona «come fratello....» Tutte le volte che descriveva il suo appartamento il numero delle stanze cresceva: adesso era arrivato a quindici e, non potendolo più ragionevolmente aumentare, aggiungeva: «oltre la stalla e la rimessa....» Il principe lo lasciava dire, ma gli faceva pagare l’attenzione prestatagli e la promessa dei quattrini, giovandosi di lui come di un servo, mandandolo di qua e di là a portar lettere od ambasciate, che gli affidava dandogli tuttavia, per un certo rispetto umano, dell’Eccellenza. Neppure lo metteva a giorno dei proprii affari, nè gli faceva confidenze di sorta; curioso, il cavaliere voleva sapere che pensavano pel matrimonio di Teresa, che cosa faceva Consalvo, quando sarebbe tornato; ma non riusciva ad saper nulla, specialmente riguardo al principino, il quale non scriveva se non a donna Ferdinanda. Le notizie del giovane, a palazzo, venivano per mezzo di Baldassarre, il quale ogni due giorni scriveva al signor principe per riferirgli minutamente la vita del padroncino. Quelle lettere facevano fare schiette risate a Teresina, scritte com’erano in una lingua fantastica, di particolare composizione del maestro di casa. «So Eccellenza sta bene e s’addiverte.... Oggi abbiamo stato al Buà di Bologna, che ci era grande passeggio di carrozze e cavalli e signori e signore accavallo....» Il maestro di casa annunziava ogni giorno il programma del successivo: «Domani andiamo all’Ussaburgo.... domani partiamo per Fontana Bu, vedere il palazzo reale....» ma donna Ferdinanda aspettava la narrazione d’una visita ben altrimenti importante: quella a Sua Maestà Francesco II. Prima che Consalvo partisse, ella gli aveva fatto un obbligo, quando sarebbe passato da Parigi, di «baciare la mano al Re»,