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I Vicerè 489

cosa, e se il principe discorreva degli affari di casa, si contentava di stare a sentire e rispondeva qualche Eccellenza sì o qualche Eccellenza no di tanto in tanto. A tavola, col muso sul piatto, non guardava nessuno e spesso non pronunziava due parole una dopo l’altra. Il principe cominciava a soffiare e ammutoliva anche lui, facendo però certi versacci che non annunziavano niente di buono; la principessa alzava gli occhi al soffitto dalla costernazione, e Teresa, angustiata da quella freddezza, perdeva sin l’appetito. Levandosi di tavola, quando il figlio andava via:

— Cominciamo da capo! — sfogavasi il principe. — State a vedere che cominciamo da capo! Che gli hanno fatto, a cotesta bestia? S’è divertito più d’un anno a viaggiare, non gli è mancato niente, e mi ringrazia così, tenendomi il broncio, avvelenandomi tutti i giorni il desinare!...

Nè era da dire che quella bestia stesse muto per poca voglia di parlare; giacchè, in presenza di estranei, non la finiva più di narrare le sue avventure di viaggio, le grandi cose che aveva viste, le novità di cui in Sicilia non v’era neppur sentore. Con Benedetto Giulente, specialmente, e con la gente più o meno mescolata nelle cose pubbliche, teneva certi discorsi stupefacenti in bocca sua, sull’ordinamento delle guardie di città, sulla manutenzione dei giardini, intorno ai sistemi d’inaffiamento delle vie o d’illuminazione dei teatri. Perchè diamine s’occupava di quelle cose? Per far sapere che era stato fuori via?... Ma nossignore; non solo teneva discorsi diversi dagli usati, mutava anche sistema di vita. Visti una prima volta gli antichi compagni di bagordo, non li aveva più cercati, anzi li evitava; la passione dei cavalli pareva gli fosse interamente finita; non scendeva più nelle stalle, non teneva conversazione coi cocchieri. Non più donne, non più giuoco; passava il suo tempo chiuso nella propria stanza, dove non si sapeva che diamine ordisse. Quando andava fuori, faceva frequenti visite allo zio duca, col quale parlava di cose serie, o