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I Vicerè 491

jettatura! il cibo non mi fa buon sangue! Piglierò una malattia...

Allora Teresa, come la sola capace d’esercitare un’influenza sull’animo del fratello, tornava da lui, gli prendeva le mani, lo scongiurava d’esser buono, gli parlava dei suoi doveri di figlio; e Consalvo la lasciava dire, muto ed immobile. Ma una volta che ella, fra gli altri argomenti, addusse quello della gratitudine che dovevano al padre e alla madrigna, egli rispose, con ironia fredda e tagliente:

— Molta, in verità... Mio padre m’ha voluto sempre bene, fin da quando mi tenne dieci anni chiuso al Noviziato, come ha tenuto in collegio sei anni te! Gli dobbiamo essere molto grati entrambi, perchè non lasciò passare sei mesi dalla morte di nostra madre, che mise un’altra al posto di lei... Anche lei, dal paradiso, deve essergli grata pel rispetto, per l’amore, per le cure di cui la circondò...

— Taci! Taci!... — esclamò Teresa.

— Ho da tacere?... Lo sai dunque quel che fecero soffrire a quella poveretta?... Ma tu eri a Firenze, tu non puoi saper niente...

— Taci, Consalvo!

— Allora, che vuoi? Dimmi tu che debbo fare per contentarlo! Quando stavo tutto il giorno fuori casa, a divertirmi a modo mio, spendendo quattrini: nossignore, bisognava cambiar vita! Adesso che sto sempre dentro, a studiare, continua a rompermi la testa?


Consalvo studiava economia politica, diritto costituzionale, scienza dell’amministrazione. La gente che non sapeva di che cosa s’occupava, ma che vedeva il radicale mutamento operatosi in lui, lo attribuiva al lungo viaggio, al senno che tutti i giovani, o presto o tardi, hanno pure da mettere. E il viaggio, infatti, era stato l’origine della conversione del principino, la sua grande lezione.