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502 I Vicerè


— Avete cercato bene?

— La casa sottosopra, Eccellenza; che appena successe la disgrazia presi le chiavi e frugai da per tutto... nell’interesse di Vostra Eccellenza.. Ma potevo credere a una cosa simile? Dopo che Sua Paternità aveva promesso dodici tarì al giorno alle ragazze? È un tradimento! Sono rovinato! E Vostra Eccellenza pure... Io credevo che il testamento fosse scritto da anni, dall’altra volta che gli prese il capogiro...

— L’avrà forse dato al notaro?

— Ma che notaro! Sua Paternità non voleva sentirne, e anzi quando il notaro Marco gli parlò in proposito... per amicizia a noi... gli rispose brusco che il testamento l’avrebbe fatto da sè e chiuso nella sua cassa!... Ma non c’è niente in tutta la casa... Se avessi saputo una cosa simile!... — E tacque, guardando il principe.

— Che avreste fatto?

— Avrei scritto io il testamento, secondo le sue intenzioni... per darglielo a firmare... La firma ce l’avrebbe messa in mezzo minuto... Potevo anche...

Ma in quel punto chiamarono di là. Il dottore, tanto per contentare «la famiglia» aveva ordinato che si cavasse sangue al fulminato e gli s’attaccasse qualche mignatta alle tempie; Garino scappò per eseguire gli ordini del dottore, e il principe si mise a girare per la casa.

Faceva giorno quando venne il salassatore. L’operazione non giovò quasi a nulla; solo gli occhi del moribondo s’aprirono un momento; ma nè un muscolo si scosse, nè una parola uscì dalla bocca serrata. Col giorno arrivò la principessa. Gli altri parenti non sapevano ancora nulla, e cominciarono ad arrivare più tardi, uno dopo l’altro; entravano un momento nella camera del moribondo e poi passavano nella stanza attigua, girellonando, cercando il momento di prendere a parte il principe, per dirgli in un orecchio:

— C’è testamento?

— Non so... non credo... — rispondeva il principe. — Chi pensa a queste cose per ora?