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574 I Vicerè

principe promettendo di portare i quattrini per poi dividerli con lui; ma i quattrini non venivano mai, talchè un bel giorno, stanco d’esser beffato, il nipote gli dichiarò:

— Mi pare che lo scherzo sia durato a lungo; d’ora in poi, se vorrete altri esemplari, li pagherete anticipatamente.

Allora, finiti i soldi che aveva portato da Palermo, gl’imbarazzi ricominciarono per l’ex-Gentiluomo di Camera. Come un fattorino di libraio, egli saliva e scendeva scale coi piedi gonfi dalla gotta, trascinandosi penosamente, per offrire il suo Araldo, per mostrarne una dispensa di saggio, e quando arrivava a scovare un compratore correva a supplicare il principe perchè gli desse la copia, giurando e spergiurando che sarebbe tornato subito coi quattrini; ma il principe, duro: «Portateli prima!» Non sapendo dove dar di capo, il vecchio fermava i parenti e le semplici conoscenze per farsi prestare le trenta lire; raggranellatele, le portava al nipote, il quale, solo dopo averle intascate, rilasciava l’esemplare. Ma, riscosso il prezzo dal compratore, don Eugenio dimenticava di soddisfare i debiti contratti, talchè l’operazione si rinnovava ogni volta con maggior difficoltà. Del resto il cavaliere trovava da un certo tempo la piazza molto più dura di prima: da gente a cui egli non aveva mai proposto l’Araldo, sentivasi rispondere: «Un’altra volta? L’ho già!» Dicevano così per mandarlo via?... Un giorno, per sincerarsene, egli domandò a uno di costoro come l’avesse: «Oh, bella! L’ho comprato! È venuta una persona di casa vostra: non siete zio del principe?...»

Il vecchio si battè la fronte: quel birbone di Giacomo!.. Non contento di avergli preso novemila lire di roba in cambio delle duemila e cinquecento anticipate, non contento d’avergli reso impossibile la vendita pretendendo l’anticipazione del prezzo, adesso vendeva le copie per proprio conto! «Ah, ladro! Ah, ladro!...» Ma, composta la fisionomia all’abituale bonarietà, corse a palazzo.