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I Vicerè 587

madrigna, suo padre, la madre di lui, tutta quella gente dura, spietata, inesorabile, tutti quelli che avevano impedito d’esser felice a lui ed a lei stessa. Perchè ella non era stata felice, no, mai! E le davan lode per l’amore che portava al marito! Se non l’aveva amato neppure un momento! Se le ispirava quasi disgusto! Se disprezzava la sua ignoranza, la sua volgarità! E l’avevano sacrificata pei loro puntigli, pei loro capricci, per la superstizione dei titoli, per l’idolatria delle vane parole! Pazzi e maligni: aveva ragione Consalvo. Egli aveva ben fatto, che s’era ribellato. La sciocchezza era stata tutta sua, nell’obbedir ciecamente. Colpa sua! Anche sua! Per obbedire, per rispettare, per contentare: chi? «Gli assassini di nostra madre!...»

Con gli occhi spalancati, ella trattenne il respiro. Il bambino l’aveva udita?... La guardava, coi chiari occhi sereni, lucenti come celesti spiracoli nella penombra della sera... Non corse a lui. Nella penombra, anche l’argento del Crocifisso, il vetro del quadro della Madonna lucevano. Perchè dunque Essi permettevano queste cose? Non le sapevano? Non le vedevano? Non potevano impedirle?

La porta si schiuse: la cameriera entrò esclamando:

— Eccellenza, il telegramma!

Ella lesse: «Dottori assicurano superato ultimo accesso. Riprende conoscenza. Siamo più tranquilli».

Allora ruppe in pianto.


Il duca tornò dopo una settimana. Suo fratello era entrato in convalescenza, ma quel giorno dell’arrivo lo avevano trovato boccheggiante: in un accesso di delirio aveva tentato di buttarsi giù dal balcone; quattro uomini a stento erano riusciti a trattenerlo. Un vero miracolo l’aveva salvato. Appena in grado di viaggiare, lo avrebbero riportato a casa per assicurare la guarigione col cambiamento d’aria.

Infatti, pochi giorni dopo, la duchessa madre, restata