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234 I Vicerè

il capo, udendogli sentenziare che l’ultima parola non era detta.

— Che ultima e che prima! Il gran Cavurre ha fatto fagotto! I principi legittimi tornano tutti quanti! L’avete schiacciata male, non volete capirlo?

Ogni giorno s’informava se il duca aveva ordinato che gli si facessero le valigie; quel fratello gli pesava come un sasso sullo stomaco, non vedeva l’ora che ripartisse per Palermo, quasi in città non potesse regnar pace se colui non se n’andava. Al convento, insultava quelli che osavano ancora contraddirgli, le discussioni minacciavano di finir male; lo stesso Abate aveva dovuto pregare i Padri Dilenna e Rocca di lasciarlo dire per evitare un guaio. Il Priore, invece, non s’occupava di tutte queste cose: nessuno sapeva in qual modo egli la pensasse. Se gli parlavano di politica, stava a udire, scrollava il capo, rispondeva: «Non sono affari che mi riguardano.... Date a Cesare quel che è di Cesare....» Al Noviziato la lotta fra i due partiti s’era attizzata; il principino, a cui don Blasco dava l’imbeccata, prendeva anche lui l’aria di un trionfatore, dileggiava Giovannino Radalì, capo dei rivoluzionarii, dandogli del «barone senza baronia» e del «figlio del pazzo.» Il duca Radalì, infatti, era morto in un accesso di delirio furioso; la duchessa vedova aveva quindi stabilito che Giovannino, come secondogenito, pronunziasse i voti. E questo era un altro argomento col quale Consalvo schiacciava il cugino: «Io andrò via, e tu resterai sempre qui!...» Giovannino, che nonostante le diverse idee politiche gli voleva bene, sopportava un poco i suoi dileggi; ma, a volte, infuriava in malo modo: il sangue gli montava alla testa, gli occhi gli s’accendevano; scagliatosi sul cugino, se lo metteva sotto, malmenandolo, finchè Frà Carmelo accorreva, con le mani in testa:

— Per l’amor di Dio!... Che modo è questo?... Non potete star cheti? Pensate a divertirvi!

Composte le liti, i ragazzi si divertivano, infatti. I due cugini morivano dalla voglia di fumare; Giovan-