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470 I Vicerè

che era chiuso, col solo sportello aperto. Datosi a conoscere come zio del padrone al nuovo portinaio che lo squadrava da capo a piedi, sentì rispondersi che non c’era nessuno: nè il principe, nè la principessa, nè Consalvo: partiti tutti: il signorino in viaggio da quasi un anno, i padroni per togliere dal collegio la signorina e farle vedere un po’ di mondo. Non bene persuaso, come uno avvezzo ad esser mandato via, il cavaliere alzava gli occhi alle finestre, pareva voler guardare a traverso i muri, quando s’udì salutare:

— Eccellenza?... Vostra Eccellenza qui?

Era Pasqualino Riso, il cocchiere. Anche lui era andato giù, non sfoggiava gli abiti eleganti, gli anelli e le catene d’oro d’un tempo.

— Tutti partiti, Eccellenza.... La casa è vuota!

— Quando torneranno?

— Non sappiamo, Eccellenza; forse per le vendemmie, i padroni....

— E il principino?

— Ah, il principino non per ora....

Don Eugenio, i cui occhietti luccicavano di curiosità sul viso affamato, s’accomodò sulla seggiola senza spalliera che il portinaio teneva dinanzi all’uscio del suo stanzino, domandando:

— Perchè? Che c’è di nuovo?

E a poco a poco, Pasqualino rivelò la verità. Il signorino non poteva più stare in casa, almeno per un certo tempo, a cagione dell’urto continuo col padre. Dai tanti dispiaceri, il signor principe era caduto ammalato. Quanto a don Consalvo, non si poteva dire che s’affliggesse tanto da farne una malattia, ma neanche lui doveva ingrassare a furia di dissapori e di diverbii; il meglio perciò era che se ne stesse un pezzo lontano... Così il principe avrebbe trovato tempo di placarsi, di persuadersi che, in fin dei conti, il figliuolo non aveva ammazzato nessuno! L’accusavano di non interessarsi alle faccende dell’amministrazione, di trattar male la madrigna? «Ma Vostra Eccellenza sa com’è fatto il signor