Pagina:I promessi sposi (1825) I.djvu/132

Da Wikisource.
126

Il palazzotto di don Rodrigo sorgeva isolato, a somiglianza d’una bicocca, sulla cima d’uno dei promontorii ond’è sparsa e rilevata quella costiera. A questa indicazione l’anonimo aggiunge che il sito (avrebbe fatto meglio a scriverne alla buona il nome) era più in su del paesello degli sposi, discosto da questo forse tre miglia, e quattro dal convento. Appiè del promontorio, dalla parte che guarda all’infuori verso il lago, giaceva un mucchietto di casipole abitate da contadini di don Rodrigo; e quivi era come la picciola capitale del suo picciolo regno. Bastava passarvi per esser chiarito della condizione e dei costumi del paese. Gittando un’occhiata nelle stanze terrene, dove qualche uscio fosse aperto, si vedevano appesi alle muraglie archibugi, zappe, rastrelli, cappelli di paglia, reticelle e taschette da polvere, alla rinfusa. La gente che vi s’incontrava erano fanti tarchiati ed arcigni, con un gran ciuffo arrovesciato sul capo e chiuso in una reticella, vecchi che perdute le zanne parevano sempre pronti, chi appena gl’inzigasse, a digrignar le gengive, donne con certe facce maschie e con certe braccia nerborute, buone da venire in aiuto della lingua, alla prima occorrenza: nei sembianti e negli atti dei fanciulli stessi che giucavano per la