Pagina:I promessi sposi (1825) I.djvu/144

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“In verità,” rispose il dottore, tenendo brandita in aria la forchetta, e rivolgendosi al padre, “in verità io non so intendere come il padre Cristoforo, il quale è insieme il perfetto religioso e l’uomo di mondo, non abbia posto mente che la sua sentenza, buona, ottima e di giusto peso sul pulpito, non vale niente, sia detto col dovuto rispetto, in una disputa cavalleresca. Ma il padre sa meglio di me che ogni cosa è buona a suo luogo; ed io credo che questa volta abbia voluto cavarsi con una celia dall’impiccio di proferire una sentenza.”

Che si poteva mai rispondere a ragionamenti dedotti da una sapienza così antica, e sempre nuova? Niente: e così fece il nostro frate.

Ma don Rodrigo, per voler troncare quella quistione; ne venne a suscitare un’altra. “A proposito,” diss’egli “ho inteso che a Milano correvano voci di accomodamento.”

Il lettore sa che in quell’anno si combatteva per la successione al ducato di Mantova, del quale, alla morte di Vincenzo Gonzaga, che non aveva lasciata prole maschile, era entrato in possesso il duca di Nevers suo parente più prossimo. Luigi XIII, ossia il cardinale di Richelieu, voleva sostenervelo, perchè suo ben