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di quelle, e volgeva nei campi. Agnese vi s’avviò, come se volesse trarsi alquanto in disparte per parlare più liberamente, e Perpetua dietro. Quando ebbero voltato il canto, e furono in luogo donde non si poteva più vedere ciò che accadesse dinanzi alla casa di don Abbondio, Agnese tossì forte. Era il segno: Renzo lo intese, fece animo a Lucia con una stretta di braccio, ed entrambi in punta di piedi voltarono anche essi il loro canto, strisciaron quatti quatti rasente il muro, vennero alla porta, l’aprirono dilicatamente; uno e due, cheti e chinati, furono nell’andito: quivi erano i due fratelli ad aspettare. Renzo abbassò pian piano il saliscendo nel monachetto: e tutti quattro su per le scale non facendo pur romore per due. Giunti sul pianerottolo, i due fratelli si fecero alla porta della stanza che era di fianco alla scala; gli sposi si strinsero alla parete.
“Deo gratias,” disse Tonio, a voce spiegata.
“Tonio, eh? Entrate,” rispose la voce di dentro.
Il chiamato schiuse le imposte appena quanto era necessario per passare egli e il fratello ad un per volta. La riga di luce che uscì d’improvviso per quella apertura e scorse a traverso
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