Pagina:I promessi sposi (1825) II.djvu/324

Da Wikisource.
320

in persona. Oh povero me! povero me! Basta; il cielo è in obbligo di aiutarmi, perchè non mi ci son messo io di mio capriccio. —

In fatti sul volto dell’innominato si vedevano, per dir così, passare i pensieri, come, in un’ora burrascosa, le nuvole trascorrono dinanzi alla faccia del sole, alternando a ogni tratto una luce arrabbiata e un tristo rezzo. L’animo, ancor tutto inebriato delle soavi parole di Federigo, e come rifatto e ringiovanito nella novella vita, si elevava a quelle idee di misericordia, di perdono e d’amore; poi ricadeva sotto il peso del terribile passato. Correva con ansia a cercare quali fossero le iniquità riparabili, che cosa si potesse troncare a mezzo, quali rimedii più spediti e più sicuri, come sviluppar tanti nodi, che fare di tanti complici: era una scurità a pensarvi. A quella stessa spedizione che era la più facile e così vicina al termine, andava con una voglia mista d’angoscia, pel pensiero che intanto quella creatura pativa, Dio sapeva quanto, e che egli, il quale pure ardeva di liberarla, era egli che la teneva intanto a patire. A ogni bivio il lettighiero si volgeva per avere indirizzo della via: l’innominato la segnava colla mano, e insieme accennava che affrettasse.