Pagina:I promessi sposi (1825) II.djvu/85

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“ora vedo che sei galantuomo: questa è una opera buona, dare un letto ad un buon figliuolo; ma quella ragia del nome e cognome, quella non era da galantuomo. Per buona sorte che anch’io son furbo la parte mia....”

L’oste, il quale non si pensava che colui potesse ancor tanto connettere, l’oste, che per una lunga esperienza sapeva quanto gli uomini in quello stato sieno più soggetti del solito a volgersi repentinamente di sentimento, volle approfittare di quel lucido intervallo, per fare un altro tentativo. “Figliuol caro,” diss’egli con una voce e con una cera tutta carezzevole: “non l’ho mica fatto per seccarvi, nè per sapere i fatti vostri. Che volete! La è legge; anche noi, bisogna obedire: altrimenti siamo i primi a portarne la pena. È meglio contentarli, e.... Di che si tratta finalmente? Gran cosa! dir due parole. Non mica per loro, ma per fare un piacere a me; via, qui fra noi, a quattr’occhi, facciamo le nostre cose: ditemi il vostro nome e..... e poi andate a letto col cuor quieto.”

“Ah birbone!” sclamò Renzo: “mariuolo! tu mi torni ancora in campo con quella infamità del nome, cognome e negozio!”

“Taci, buffone; va a letto,” diceva l’oste.