Pagina:I promessi sposi (1825) III.djvu/171

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in quella vece sane e salve presso gente del paese; e infestava il padrone che si facesse sentire, e rivolesse il suo. Tasto più odioso non si poteva toccare per don Abbondio, attesochè la sua roba era in mano di birboni, di quella specie di persone cioè, con cui egli aveva più a cuore di stare in pace.

“Ma se non ne voglio sapere di queste cose,” diceva egli. “Quante volte v’ho da ripetere che quel che è andato è andato? Ho mo da esser posto anche in croce, perchè m’è stata spogliata la casa?”

“Se lo dico io,” rispondeva Perpetua, “ch’ella si lascerebbe mangiar gli occhi del capo. Rubare agli altri è peccato, ma a lei, è peccato non rubare.”

“Ma vedete se codesti sono spropositi da dire!” replicava don Abbondio: “ma volete tacere?”

Perpetua taceva, ma non così tosto; e tutto poi le era pretesto per ricominciare. Tanto che il pover’uomo s’era ridotto a non lasciarsi più scappar di bocca un lamento, sulla mancanza di questo o di quell’arredo, nel momento che ne avrebbe avuto bisogno; perchè, più d’una volta, gli era toccato di sentirsi dire: “vada a cercarlo al tale che lo ha, e non l’avrebbe tenuto fino a quest’ora, se non avesse che fare con un buon uomo.”