Pagina:I promessi sposi (1825) III.djvu/260

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“Di questo non si dia fastidio.”

Che! non vorreste già farmi qualche sproposito peggio di questo?

“La non ci pensi, dico; tocca a me: i sette anni gli ho passati. Spero che a buon conto, non dirà a nessuno d’avermi veduto. È sacerdote; sono una sua pecora: non mi vorrà tradire.”

“Ho capito,” disse don Abbondio, sospirando stizzosamente: “ho capito. Volete rovinarvi voi, e rovinarmi me. Non vi basta di quelle che avete passate voi; non vi basta di quelle che ho passate io. Ho capito, ho capito.” E, continuando a borbottar fra’ denti queste ultime parole, si mosse per la sua via.

Renzo rimase lì gramo e scontento, a pensar d’altro albergo. Nella lista funebre recitatagli da don Abbondio, v’era una famiglia di contadini portata via tutta dal contagio, salvo un giovanotto, dell’età di Renzo a un dipresso e suo camerata dall’infanzia: la casa era fuori del villaggio, a pochissima distanza. Quivi egli deliberò di rivolgersi a chiedere ospizio.

Era giunto presso alla sua vigna; e già dal di fuori potè subito argomentare in che stato ella fosse. Una vetticciuola, una fronda d’albero ch’egli vi avesse lasciato, non ispuntava su