Pagina:I promessi sposi (1825) III.djvu/265

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“Lo so pur troppo,” disse Renzo. E così, ricambiando e mescendo affoltatamente accoglienze, domande e risposte, furono insieme nella casetta. Quivi, senza intermettere i discorsi, l’amico s’affaccendò, per fare un po’ d’onore a Renzo, come si poteva così alla sproveduta, e di quel tempo. Pose l’acqua a fuoco, e mise mano a far la polenta; ma cedè poi il matterello a Renzo, che la tramestasse, e se ne andò, dicendo: “son da per me; ma! son da per me!”

Tornò con un secchiello di latte, con un po’ di carne salata, con un paio di raviggiuoli, con fichi e pesche; e, tutto ammannito, rovesciata la polenta in sul tagliere, si posero insieme a tavola, ringraziandosi a vicenda, l’uno della visita, l’altro del ricevimento. E, dopo un’assenza di presso a due anni, si scopersero a un tratto molto più amici di quello che avesser mai saputo di esserlo, nel tempo che si vedevano quasi ogni giorno; perchè ad entrambi, dice qui il manoscritto, erano toccate di quelle cose che fanno sentire che balsamo sia all’animo la benevolenza; tanto quella che si sente, quanto quella che si trova in altrui.

Certo, nessuno poteva tenere appo Renzo il luogo d’Agnese, nè consolarlo della costei