Pagina:I promessi sposi (1825) III.djvu/297

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Renzo afferrò ancora il martello, e, così appoggiato alla porta, lo andava strignendo e storcendo nella mano, lo alzava per picchiar di nuovo alla disperata, poi lo teneva sospeso. In questa agitazione, si volse per vedere se mai gli cadesse sott’occhio qualche vicino, da cui forse aver qualche più discreta informazione, qualche indirizzo, qualche lume. Ma la prima, l’unica persona che scorse fu un’altra donna, discosta forse un venti passi; la quale, con un volto che esprimeva terrore, odio, impazienza e malizia, con certi occhi travolti che volevano insieme guardar lui e guardar lontano, spalancando la bocca come in atto di gridare a più non posso, ma tenendo anche il respiro, sollevando due braccia scarne, allungando e ritirando due mani grinze e uncinate, come s’ella traesse a se qualche cosa, dava manifesto segno di voler chiamar gente, in modo che un qualcheduno non se ne accorgesse. Allo scontrarsi degli sguardi, colei, fattasi ancor più brutta, trasalì come persona sorpresa.

“Che diamine....?” cominciava Renzo, levando pur le mani verso la donna; ma questa, perduta la speranza di poterlo far cogliere alla sproveduta, lasciò scappare il grido che aveva compresso fino allora: “l’untore! dagli! dagli! dagli all’untore!”