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280 I PROMESSI SPOSI

“Vuol dire, quella faccia: comanda chi può, e ubbidisce chi vuole. Quando questa faccia avrà fatto andare in galera il signor don... basta, lo so io; come dice in un altro foglio di messale compagno a questo; quando avrà fatto in maniera che un giovine onesto possa sposare una giovine onesta che è contenta di sposarlo, allora le dirò il mio nome a questa faccia; le darò anche un bacio per di più. Posso aver delle buone ragioni per non dirlo, il mio nome. Oh bella! E se un furfantone, che avesse al suo comando una mano d’altri furfanti: perchè se fosse solo...” e qui finì la frase con un gesto: “se un furfantone volesse saper dov’io sono, per farmi qualche brutto tiro, domando io se questa faccia si moverebbe per aiutarmi. Devo dire i fatti miei! Anche questa è nuova. Son venuto a Milano per confessarmi, supponiamo; ma voglio confessarmi da un padre cappuccino, per modo di dire, e non da un oste.”

L’oste stava zitto, e seguitava a guardar la guida, la quale non faceva dimostrazione di sorte veruna. Renzo, ci dispiace il dirlo, tracannò un altro bicchiere, e proseguì: “ti porterò una ragione, il mio caro oste, che ti capaciterà. Se le gride che parlan bene, in favore de’ buoni cristiani, non contano; tanto meno devon contare quelle che parlan male. Dunque leva tutti quest’imbrogli, e porta in vece un altro fiasco; perchè questo è fesso.” Così dicendo, lo percosse leggermente con le nocca, e soggiunse: “senti, senti, oste, come crocchia.”

Anche questa volta, Renzo aveva, a poco a poco, attirata l’attenzione di quelli che gli stavan d’intorno: e anche questa volta, fu applaudito dal suo uditorio.

“Cosa devo fare?” disse l’oste, guardando quello sconosciuto, che non era tale per lui.

“Via, via,” gridaron molti di que’ compagnoni: “ha ragione quel giovine: son tutte angherie, trappole, impicci: legge nuova oggi, legge nuova.” In mezzo a queste grida, lo sconosciuto, dando all’oste un’occhiata di rimprovero, per quell’interrogazione troppo scoperta, disse: “lasciatelo un po’ fare a suo modo: non fate scene.”

“Ho fatto il mio dovere,” disse l’oste, forte; e poi tra sè: — ora ho le spalle al muro. — E prese la carta, la penna, il calamaio, la grida, e il fiasco voto, per consegnarlo al garzone.

“Porta del medesimo,” disse Renzo: “che lo trovo galantuomo;