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296 | I PROMESSI SPOSI |
— Diavolo! il nome poi, com’hanno fatto? — pensò l’oste questa volta.
“ Ma voi, ” riprese l’altro, con volto serio, “ voi non dite tutto sinceramente. ”
“ Cosa devo dire di più? ”
“ Ah! ah! sappiamo benissimo che colui ha portato nella vostra osteria una quantità di pane rubato, e rubato con violenza, per via di saccheggio e di sedizione. ”
“ Vien uno con un pane in tasca; so assai dov’è andato a prenderlo. Perchè, a parlar come in punto di morte, posso dire di non avergli visto che un pane solo. ”
“ Già; sempre scusare, difendere: chi sente voi altri, son tutti galantuomini. Come potete provare che quel pane fosse di buon acquisto? ”
“ Cosa ho da provare io? io non c’entro: io fo l’oste. ”
“ Non potrete però negare che codesto vostro avventore non abbia avuta la temerità di proferir parole ingiuriose contro le gride, e di fare atti mali e indecenti contro l’arme di sua eccellenza. ”
“ Mi faccia grazia, vossignoria: come può mai essere mio avventore, se lo vedo per la prima volta? È il diavolo, con rispetto parlando, che l’ha mandato a casa mia: e se lo conoscessi, vossignoria vede bene che non avrei avuto bisogno di domandargli il suo nome. ”
“ Però, nella vostra osteria, alla vostra presenza, si son dette cose di fuoco: parole temerarie, proposizioni sediziose, mormorazioni, strida, clamori. ”