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38 i promessi sposi


— L’ho detto io, che c’era mistero sotto, — pensò Renzo; e, per tirarlo in luce, continuò: “via, Perpetua; siamo amici; ditemi quel che sapete, aiutate un povero figliuolo.”

“Mala cosa nascer povero, il mio caro Renzo.”

“È vero,” riprese questo, sempre più confermandosi ne’ suoi sospetti; e, cercando d’accostarsi più alla questione, “è vero,” soggiunse, “ma tocca ai preti a trattar male co’ poveri?”

“Sentite, Renzo; io non posso dir niente, perché... non so niente; ma quello che vi posso assicurare è che il mio padrone non vuol far torto, né a voi né a nessuno; e lui non ci ha colpa.”

“C‘hi è dunque che ci ha colpa?” domandò Renzo, con un cert’atto trascurato, ma col cuor sospeso, e con l’orecchio all’erta.

“Quando vi dico che non so niente... In difesa del mio padrone, posso parlare; perché mi fa male sentire che gli si dia carico di voler far dispiacere a qualcheduno. Pover’uomo! se pecca, è per troppa bontà. C’è bene a questo mondo de’ birboni, de’ prepotenti, degli uomini senza timor di Dio...”

— Prepotenti! birboni! — pensò Renzo: — questi non sono i superiori. “Via,” disse poi, nascondendo a stento l’agitazione crescente, “via, ditemi chi è.”

“Ah! voi vorreste farmi parlare; e io non posso parlare, perché...