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CAPITOLO XXIX. 559

rammentavano una buona azione. Fate del bene a quanti più potete, dice qui il nostro autore; e vi seguirà tanto più spesso d’incontrar de’ visi che vi mettano allegria.

Agnese, nell’abbracciar la buona donna, diede in un dirotto pianto, che le fu d’un gran sollievo; e rispondeva con singhiozzi alle domande che quella e il marito le facevan di Lucia.

“Sta meglio di noi,” disse don Abbondio: “è a Milano, fuor de’ pericoli, lontana da queste diavolerie.”

“Scappano, eh? il signor curato e la compagnia,” disse il sarto.

“Sicuro,” risposero a una voce il padrone e la serva.

“Li compatisco.”

“Siamo incamminati,” disse don Abbondio; “al castello di ***.”

“L’hanno pensata bene: sicuri come in chiesa.”

“E qui, non hanno paura?” disse don Abbondio.

“Dirò, signor curato: propriamente in ospitazione, come lei sa che si dice, a parlar bene, qui non dovrebbero venire coloro: siam troppo fuori della loro strada, grazie al cielo. Al più al più, qualche scappata, che Dio non voglia: ma in ogni caso c’è tempo; s’hanno a sentir prima altre notizie da’ poveri paesi dove anderanno a fermarsi.”

Si concluse di star lì un poco a prender fiato; e, siccome era l’ora del desinare, “signori,” disse il sarto: “devono onorare la mia povera tavola: alla buona: ci sarà un piatto di buon viso.”

Perpetua disse d’aver con sé qualcosa da rompere il digiuno. Dopo un po’ di cerimonie da una parte e dall’altra, si venne a patti d’accozzar, come si dice, il pentolino, e di desinare in compagnia.

I ragazzi s’eran messi con gran festa intorno ad Agnese loro amica vecchia. Presto, presto; il sarto ordinò a una bambina (quella che aveva portato quel boccone a Maria vedova: chi sa se ve ne rammentate più!), che andasse a diricciar quattro castagne primaticce, ch’eran riposte in un cantuccio: e le mettesse a arrostire.

“E tu,” disse a un ragazzo, “va’ nell’orto, a dare una scossa al pesco, da farne cader quattro, e portale qui: tutte, ve’. E tu,” disse a un altro, “va’ sul fico, a coglierne quattro de’ più maturi. Già lo conoscete anche troppo quel mestiere.” Lui andò a spillare una sua botticina; la donna a prendere un po’ di biancheria da tavola. Perpetua cavò fuori le provvisioni; s’apparecchiò: un tovagliolo e un piatto di maiolica al posto d’onore, per don Abbondio, con una posata che Perpetua aveva nella gerla. Si misero a tavola, e desinarono,