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canaglia aggrappata al Selmi. Gli pareva che glielo rimettessero in casa, là, con tutta la folla urlante, beffarda e ingiuriosa! Tutti, sì, tutti avrebbero creduto che lo salvava lui il Selmi, non per generosità, ma per paura! E fors’anche il Selmi stesso.... Ma qual paura, in fondo, poteva aver lui? Per generosità, se mai, avrebbe potuto farlo, perchè lo ricordava prode e nobile, un giorno, sprezzante della vita tra i pericoli e tutto acceso dell’ideale santo della patria. Ma no, no, neanche per questa generosità lo avrebbe fatto: troppo, oltre all’odio e allo sdegno per il tradimento (quantunque ne facesse più carico alla moglie), troppo gli coceva il sospetto in lui di quella paura.
Intanto, sottratte tutte le carte che avrebbero potuto perdere il Selmi, era rimasto esposto, senza difesa, e compromesso, un innocente: Roberto Auriti. S’era trovato a carico di lui un debito di circa quarantamila lire; e, quel ch’era peggio, più d’un biglietto laconico e misterioso, in cui si faceva allusione a un amico, che assicurava il governatore della Banca o prometteva, che avrebbe fatto o parlato o scritto secondo le istruzioni ricevute. Questi biglietti eran già in mano dell’autorità giudiziaria, e di questo egli doveva informare tra poco Giulio Auriti, fratello di Roberto.
S’era già abituato all’orrore della situazione; ne aveva acquistato il sentimento quasi d’una necessità fatale; e il suo sbalordimento era pieno di uggia, di ribrezzo e greve di una stanchezza dolorosa. Nessun conforto dalle memorie del passato: a richiamarle per un momento, non sarebbero valse ad altro che ad accrescere la vergogna e la miseria del presente. E in quell’uggia, la vista di tutte le cose, anche dei ninnoli della stanza, acquistava agli occhi suoi una