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Pagina:Iacopone da Todi – Le Laude, 1915 – BEIC 1853668.djvu/112

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XLVI

Como l’anima per fede viene a le cose invisibile

     Con gli ocelli ch’agio nel capo — la luce del dí mediante
a me representa denante — cosa corporeata.
     Con gli occhi ch’agio nel capo — veggio ’l divin sacramento,
lo preite me mostra a l’altare, — pane sí è en vedemento;
la luce ch’è de la fede — altro me fa mostramento
agli occhi mei c’ho dentro — en mente razionata.
     Li quattro sensi dicono: — Questo si è vero pane.
Solo audito resistelo, — ciascun de lor fuor remane,
so’ queste visibil forme — Cristo occultato ce stane,
cusí a l’alma se dáne — en questa misteriata.
     Como porría esser questo? — vorríal veder per ragione,
l’alta potenzia divina — somettiriti a ragione;
piacqueglie lo ciel creare — e nulla ne fo questione;
voi que farite entenzone — en questa sua breve operata?
     A lo ’nvisibile cieco — vien con baston de credenza,
a lo divin sacramento — vienci con ferma fidenza;
Cristo che lí ce sta occulto — ditte la sua benvolenza,
e qui se fa parentenza — de la sua grazia data.
     La corte o’ se fon ste noze — si è questa chiesa santa,
tu vien’ a lei obedente — ed ella de fé t’amanta;
poi t’apresenta al Signore, — essa per sposa te pianta,
loco se fa nova canta — ché l’alma per fé è sponsata.
     E qui se forma un amore — de lo envisibile Dio;
l’alma non vede, ma sente — che glie despiace onne rio:
miraeoi se vede infinito: — lo ’nferno se fa celestío,
prorompe l’amor frenesío — piangendo la vita passata.