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lauda lxviii | 161 |
Nello settimo fui tirato, — d’uno ramo desprezato,
lui battuto e descacciato; — ben me fu grave a portare.
Poi l’ottavo me tentòne — fomme fatto grand’onore
per la gran devozione — là tratti faceva andare.
Demorando enfra la gente, — al nono ramo pusi mente;
disseme: — Tu fai niente. — Cominciai a meditare.
Chi en tal stato è applanato, — dagli troni è acompagnato,
ché la fede l’ha ben guidato; — sopra el ciel pò abitare.
Poi ch’a pensar me misi, — tutto quanto stupefisi,
e me medesmo reprisi — e vòlsi il corpo tralipare.
Allora conobbi me dolente, — ch’io me tenea sí potente,
e non sapea che fusse niente, — pur al corpo facea fare.
Poi guardai l’arbor vermiglio,— ch’alla speranza l’assimiglio:
nolla guarda, en mio consiglio, — nul om ch’en terra ha stare.
Enverso l’arbor levai el viso, — disseme con chiaro riso:
— O tu, omo, ove se’ miso? — molto è forte l’apianare. —
Io resposi con tremore: — Non pos altro che ’l mio core,
esforzato d’uno amore, — el suo Signor vol trovare. —
Rispondendo, disse: — Or viene, — ma emprima lassa onne bene,
e poi deventa en te crudene — e non t’enganni la pietade.—
Ma en tal ramo facea ’l fiore — ch’al secondo me mandòne,
e lá trovai pomo d’amore — e cominciai a lacrimare.
Poi nel terzo piú sentenno, — a Dio demandai lo ’nferno,
lui amando e me perdenno — dolce m’era onne male.
Chi en tal stato monta sune — è con le dominazione,
al demonio porta amore — e grande prende securtade.
Nello quarto fui poi levato, — el mio entelletto fu scurato,
dal Nemico fui pigliato, — non sapea que me fare.
Non potea el quinto patire, — per dolor andai a dormire,
en fantasia fo ’l mio vedire — el diavolo a sommare.
Nel sesto perdei el sonno, — tenebroso vidde el monno,
furome nemici entorno — vòlserme far desperare.
La memoria m’aiutòne — e de Dio me recordòne,
lo mio cor se confortòne — e la croce volli abracciare.
Fra Iacopone. | 11 |