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168 | lauda lxxi |
Stese ce son lenzola: — lo contemplar che vola,
specchio de divinitate, — vestito d’umanitate.
Coperto è de speranza — a danne ferma certanza
de farme citadino — en quel albergo divino.
La caritate iogne — e con Dio me coniogne,
iogne la vilitate — con la divina boutade.
E qui nasce un amore, — c’ha emprennato el core,
pieno de desiderio, — d’enfocato misterio.
Premio liquidisce, — languendo parturisce:
parturisce un ratto — e nel terzo ciel è tratto.
Cielo umano passa, — l’angelico trapassa,
ed entra en la caligine — col Figlio della Vergene.
Ed en Dio uno e trino, — loco li se mette el frino
d’entelletto posato, — l’affetto adormentato.
E dorme senza somnia — c’ha veritate d’omnia,
c’ha reposato el core — nello divino amore.
Vale, vale, vale! — Ascende per queste scale,
ché pò cader en basso, — fari’ grande fracasso.