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180 | lauda lxxvii |
La carne dice a la ragione: — Io me t’arendo per pregione,
aiutarne ch’io ho cagione, — ché l’amor me vol consumare.
Ché non farian sufficenza — mille corpi a sua ademplenza,
e con Dio sí se entenza — che ’l se crede manecare.
Abraccia Dio e vollo tenere — e quel che vole non sa dire,
sputar non lassa né ranscire — che non se possa travagliare.
Su del cielo piglia parte, — poi con meco si combatte,
enganname con la sua arte, — sí sa dolce predicare.
Ché parla sí dolcemente, — che me sottra’ da tutta gente,
poi si piglia sí la mente, — che non la lassa suspirare.
Pregovi che m’aiutiti, — che un poco l’affreniti,
ché i soi pensier me son feriti — che tutta me fan concussare.
Pigliar voglio pensamento — a non adempir el suo talento,
de star solo non gli assento — ch’io non possa contrastare.
Del mondo sirò accompagnata, — de lui giragio enfacendata,
ch’io non sia allapidata, — embrigarògli el meditare. —
La ragion dice: — Non te giova, — l’amor vencer voi la prova;
s’egli en dí non te trova, — la notte tu non pòi mucciare. —