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XIII
Como l’anima viziosa è inferno;
e per lume de la grazia poi se fa paradiso
L’anema ch’è viziosa — a lo’nferno è simigliata.
Casa è fatta del demono, — halla presa en patremono;
la superbia sede en trono — pegio è ch’endemoniata.
Socce tenebre d’envidia, — ad onne ben post’ha ensidia;
de ben non ci arman vestigia, — sí la mente ha ottenebrata.
Ècce acceso fuoco d’ira — che a mal far la voglia tira;
volgese d’entorna e gira — mordendo co arabbiata.
L’accidia una freddura — ce reca senza mesura
posta en estrema paura — con la mente alienata.
L’avarizia pensosa — ècce verme che non posa;
tutta la mente s’ha rosa — en tante cose l’ha occupata!
De serpente e de dragone — la gola fa gran boccone;
e giá non pensa la rascione — de lo scotto a la levata.
La lussuria fetente,— ensolfato foco ardente,
trista lassa quella mente — che tal gente ci ha ’lbergata.
Venite gente a odire — e stupite del vedere:
enferno era l’anema heri, — en paradiso oggi è tornata.
Da lo Patre el lume è sciso, — don de grazia m’ha miso;
fatto sí n’ha paradiso — de la mente viziata.
Hacce enfusa umilitate, — morta ci ha superbietate
che la mente en tempestate — tenea sempre enruinata.
L’odio sí n’ha fugato — e lo cor ha ’namorato;
nel prossimo l’ha trasformato — en caritate abracciata.
L’ira n’ha cacciata fore — e mansueto ha fatto el core,
refrenato omne furore — che me tenea ensaniata.