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lauda xx 39


     Quando altri li dicía: — Pènsate del finire! —
e quel se ne ridía, — che non credea morire;
cortese so a casa mia, — farollo ben servire;
poi ch’a mi volse venire, — non lo sappi arnunzare.
     Se vedea assembiamento — de donne e de donzelli,
andava con stromento — con soi canti novelli;
facea acquistamento — per lui de tapinelli;
en mia corte ho fancelli — che gl’insegnaran cantare.
     Se dico tutta storia, — mo è rencrescemento;
ché pur de vanagloria — saría grande strumento;
perché glie torne a memoria — fatto n’ho toccamento;
senza pagar argento — la carta ne fei trare.
     Facciane testificanza — l’angelo so guardiano,
se ho detto in ciò fallanza — verso quest’om mondano;
credome en sua leanza, — ché ’l mentir non gli è sano;
pregote, Dio sovrano, — che me degi ragion fare. —
     L’angel viene encontenente — a fare testificanza:
— Sappi, Signor, veramente — ch’egli ha detto la certanza;
detto ha quasi niente — de la sua nequitanza;
tenuto m’ha en vilanza — mentre lo stei a guardare.
     — Respondi, o malvagione — se hai nulla scusanza;
far ne voglio ragione — de que è fatta provanza;
non avesti cagione — de far tal soperchianza;
far ne voglio vegnanza, — nol pos piú comportare.
     — De ciò che m’è provato — nulla scusanza n’agio,
pregote, Dio beato, — che m’aiuti al passagio;
che m’ha sí empaurato — menacciato del viagio,
sí è scuro suo visagio — che me fa angustiare.
     — Longo tempo t’ho aspettato — che te dovessi pentire;
con ragion sei condannato — che te déi da me partire;
del mio viso sei privato — che mai nol porrai vedere,
fate gli aversere venire — che ’l degian acompagnare.
     — O Signor, co me departo — da la tua visione!
co so adunati ratto — che me menino in pregione!
poi che da te me parto, — damme la benedizione
famme consolazione — en questo mio trapassare!