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penosi attriti fra lui e il mio buon babbo. Il babbo, vecchio fiorentino fin nell’animo che se dei fiorentini antichi possedeva tutte le qualità, aveva anche molti difetti, era troppo ordinato, pacifico, borghese per intendere quell’artista così intellettualmente scapigliato, così originale e moderno di intendimenti e d’idee. Erano quindi spessissimo, questioni e litigi ne’ quali il campione di Livorno diceva corna dell’avarizia, della piccineria, dell’ipocrisia dei fiorentini; e il campione di Firenze staffilava a sangue la boria, l’orgoglio, le esagerazioni dei livornesi. In quei duelli di parole, le bottate sarcastiche, le frasi a doppio senso, le allusioni malevole, le accorte insinuazioni non si contavano più. I due si separavano col viso acceso, con la testa in fiamme, con la bocca amara, o, se venivano a una conciliazione, era per riattaccar lite il giorno dopo. Di chi la colpa? Non certo del babbo, natura onesta, semplice, modestissima, ingenua; non certo di Vincenzo Cerri, carattere franco, aperto, generoso, disinteressato, schietto sempre anche nelle sue incoerenze e nelle sue apparenti brutalità.

Ma è un fatto che certi individui che separatamente hanno pregi indiscutibili, non possono, senza loro grave danno e sopratutto con grave danno degli altri, vivere insieme: proprio come due sostanze che, innocue finchè in natura son separate, esplodono allorché l’artifizio chimico le riunisce.

Man mano che il fidanzamento andava innanzi, s’accentuava il contrasto fra l’agiatezza signorile leggermente orgogliosa di casa Cerri, e la povertà della casa mia. Fummo invitate, io e la mamma, a Livorno ed ospitate - nella casa in cui dovevo en