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sè stesso, quanto contro il suo eccesso; ossia troviamo giusto che uno speculatore dia un prezzo alla propria fatica, e venda dieci ciò che ha comprato per otto; ma ci irritiamo giustamente quando questo speculatore, approfittando dell’altrui ignoranza sui prezzi correnti e sul valore reale delle cose, guadagna immoderatamente, credendo sfoggio d’astuzia ciò che è soltanto disonestà. Bisogna però dire che gli editori non impongono mai queste condizioni; se trovano il timido ... che le accetta, fanno i loro affari, ecco tutto, ed in ciò, non differiscono per nulla dagli altri negozianti. I lettori avran visto che questo secondo mezzo di cessione, è il più favorevole all’editore.

V’è finalmente un terzo mezzo. L’autore d’accordo coll’editore, fissano — per una edizione — il numero delle copie da stampare, per esempio 2000, e il prezzo di vendita, per esempio di lire 2. L’autore chiede all’editore un tanto per cento sul prezzo di copertina, per esempio, il 10%1. Gli spetta quindi 20 centesimi per ogni copia del volume cioè lire 400 in tutto. A prima vista parrebbe che l’autore, questa volta venisse a perdere. Infatti egli non percepisce che la metà della somma che percepirebbe nel 2° caso per la cessione del manoscritto. Ma c’è questo: che a ogni edizione può far condizioni nuove, e guadagnare una somma eguale; anzi maggiore della prima, e dopo un dato

  1. Al solito, questa è la percentuale più comunemente adottata; ma non c’è una ragione al mondo perchè l’editore impresario — detratte tutte le spese — debba aver diritto a una percentuale sei o sette volte maggiore. È il diritto del più forte; null'altro.

    N. d. A.