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zione della campagna, delle colline, del cielo purissimo. Nessun particolare del paesaggio mi sfuggiva: dalla bucolina da cui uscivano e rientravano a frotte le formiche, all’ampio cerchio descritto dal volo d’una rondine: dalla stalla ove muggiva un bove, alla villa ridente sulla vetta d’un poggio: da uno schiamazzìo di galline messe in fuga dall’approssimarsi della diligenza, al bel sole sfolgorante in un corteggio di nuvole d’oro, che calava dietro i monti, tutto attirava la mia attenzione, tutto mi piaceva e mi cagionava sensazioni delicatissime, inafferrabili, che ora non saprei ritrovar più!1. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Ora, appena partiti, siamo già arrivati.... Certo, questo è un bene, un bene inapprezzabile a cui nessuna persona intelligente vorrebbe rinunziare.

Ma perchè, allora, il ricordo di certi viaggi all’antica, a base di diligenze e di polverone, ci danza nella memoria, fulgido come una visione amorosa? Forse perchè tutte le cose lontane ci appaiono più belle: forse anche perchè l’uomo, questo eterno incontentabile, pur di non dichiararsi contento del presente, si tormenta a evocare e a gridar desiderabili giorni e costumi non lieti, non belli, non utili, irrevocabilmente sepolti.


  1. Questa pagina è stata trascritta da un mio volume di Novelle, edito da Adriano Salani, Firenze.