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112 TEOCRITO

corolle d’ogni specie mescendo alla bianca farina,
quanto s’intride col miele, col fluido licor de l’uliva,
quanti animali in aria si librano o rèpono al suolo.

Pergole verdi sopra, cui gravano gli anici molli,
sono intrecciate; e in esse svolazzano Amori fanciulli,
come rosignoletti che volano all’albero in vetta,
di ramo in ramo, prova facendo dell’ala che cresce.

L’ebano vedi e l’oro! Foggiate nel candido avorio,
l’aquile vedi, che recano a Giove il coppiere fanciullo.
Vedi piú molli del sonno tappeti purpurei. Direbbe
Mileto, un uom direbbe che pascoli in Samo le greggi:
«Opera nostra è questo giaciglio ove Adone riposa».
Cipri da un lato, Adone dall’altro sta, braccia di rose.
Dieci anni ed otto o dieci e nove ha lo sposo: non anche
punge il suo bacio: non ha che rose dintorno a le labbra.

E dunque, ora che l’ha, si goda il suo sposo Afrodite.
E noi, dimani all’alba, cadendo la brina, usciremo
e recheremo ai flutti che spuman sul lido, lo sposo,
sciolte le chiome, le vesti lasciando al malleolo cadere,
e con i seni ignudi, quest’inno sonoro diremo:
«Solo tu, dolce Adone, solissimo tu degli eroi,
fra l’Acheronte e la terra, raccontano, alterni la vita.
Non Agamènnone tanto ottenne, né Aiace furente,
non Ettore, il piú degno dei venti figliuoli d’Ecúba,
né Pàtroclo, né Pirro, poiché fu tornato da Troia,
non i Piti, né i Deucalïoni, vissuti ancor prima,
non i Pelòpidi, o, d’Argo supremi signori, i Pelasgi.
Siici propizio, Adone, propizio il nuovo anno ritorna.
Caro giungesti, e caro sarai, quando, Adone, ritorni.