Pagina:Idilli di Teocrito (Romagnoli).djvu/220

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Levatevi, operosi famigli: vi chiama il padrone —
disse una donna fenicia che presso i mulini dormiva.
E accorser tutti quelli, recando le fiaccole accese:
ognuno s’affrettava, la casa era tutta un tumulto.
Ed ecco, appena videro Alcíde tuttora poppante,
che con le tenere mani stringeva alla strozza i due mostri,
un urlo tutti insieme levarono; e il bimbo a suo padre
mostrava i due serpenti, li palleggiava alti sul capo,
con bambinesca festa; e infine, ridendo, ai suoi piedi
gittò gli orrendi mostri, sopiti in letargo di morte.
E poscia, Alcmena al seno si strinse il minore dei figli,
Ificle, esangue tutto, e trepido per lo spavento:
sotto il villoso mantello raccolse Anfitríone l’altro,
e nuovamente al letto tornò per riprendere sonno.
Ecco, e tre volte i galli cantaron già alto il mattino.
AIcmena fece allora chiamare Tiresia indovino,
che presagiva il vero, gli disse del nuovo prodigio,
d’esprimer tutto ciò che doveva avvenire gl’ingiunse.
«Né se qualcosa di tristo preparano i Numi, riguardo
tu devi avere, e celarlo: ché tanto, non posson gli umani
quello evitare ch’abbia filato la Parca fatale.
Ma che vo’ dando, o figlio d’Evère, consigli ad un saggio?».
Disse cosí la regina: cosí l’indovino rispose:
«Madre di sommi figli, di Pèrseo sangue, fa’ cuore,
e serba in mente il meglio dei prosperi eventi futuri.
Per questa dolce luce degli occhi, da tanto perduta,
molte donne d’Acaia, torcendo sovresso il ginocchio
il morbido filato, il nome d’Alcmena nel canto
esalteranno; e sarai l’onor delle femmine d’Argo:
tal uomo il figlio tuo, tal eroe dal petto possente
crescerà, salirà sino al cielo che regge le stelle.
Gli uomini tutti, tutte le fiere, saranno piú fiacche
di lui. Poi, quando avrà compiute ben dodici prove.