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PPREFAZIONE XXV


sticherie e rievocazioni mitologiche e allusioni critiche e sdilinquimenti pei zanzeri, ecco una pittura agreste che supera per intensità di colorito quanto c’è di simile in ogni altro idillio, con la sua prodigiosa bellezza fa passare in ombra tutto il resto, e, concludendo gloriosamente l’idillio, ne determina il carattere sostanziale.

E con «Le Talisie» si aggruppano «La Serenata», «Il Ciclope e Galatea», «Il Ciclope», «Ila», «L’epitalamio d’Elena». E, in fondo, anche «La morte di Dafni», che però, per la sua straordinaria bellezza, occupa un posto a parte.

Fin qui abbiamo veduto Teocrito puro poeta. In veste di moralista e di questuante (le due professioni coincidono piú frequentemente che non si creda) lo vediamo invece ne «Le Grazie», indirizzate a Cerone intorno al 270, e nell’«Encomio di Tolomeo», scritto pochi anni piú tardi. Non era proprio il suo genere; e rimangono fra le cose piú scadenti.

Infine, al suo soggiorno in Egitto appartengono «Le Siracusane» e «L’amor di Cinisca». Due capolavori; ma in entrambi è bruciato qualche granello d’incenso al buon re Tolomeo. Come in Coo l’erudizione, cosí in Egitto gli si era attaccata la cortigianeria. Ma anche qui, la sua natura di poeta è tanto forte e schietta, che trionfa di ogni ostacolo.

Vengono poi gli idilli mitologici: «Ercole che strozza i serpenti», «Castore e Polluce», «Ercole uccisore del leone». L’autenticità degli ultimi due non è sicurissima. Ad ogni modo, tranne qualcuno dei soliti tratti pedanteschi, sono composizioni piene di gusto. Alessandrine schiette. Ma nessun dubbio che, se si volevano pur trattare soggetti mitologici — e certo obbligo non c’era — questa antichità rimpicciolita, questo eroismo addomesticato, ridotto alla ragion dei tempi, era di miglior gusto che non fossero le inutili repliche dell’antica poesia, sul tipo, verbigrazia, della «Tebaide» d’Antimaco. Di primissimo ordine, anche qui, i paesaggi.