Pagina:Idilli di Teocrito (Romagnoli).djvu/240

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Ino con Autonòe, con Àgave gota di mela,
tre, com’esse eran tre, guidavano tíasi al monte.
E d’una quercia fronzuta recise le frondi selvagge,
con l’asfodèlo, che al suolo germoglia, con l’edera viva,
alzarono in un prato senz’alberi dodici altari,
tre per Semèle, e nove pel sire Diòniso. E tratte
fuor dalla cesta le sacre focacce, sovressi gli altari
di fresche rame, senza parola le posero, come
aveva appreso ad esse Diòniso, il Dio che ne gode.
Or, da un’eccelsa roccia, Pentèo tutto quanto mirava,
ch’era nascosto fra i rami d’un vecchio lentischio montano.
Prima lo vide Autonòe, che, orribili grida levando,
saltò subito sopra gli arredi dell’orge di Bacco.
Ed essa furïava, con lei furïavano l’altre.
E sbigottito fuggí Pentèo, lo inseguirono quelle,
succinti i pepli su, dalla cintola, infino al ginocchio.
«Femmine — disse Pentèo — che cercate?» Rispose Autonòe:
«Avanti che tu l’oda, ben presto saperlo potrai».
E allor, la madre il figlio ghermí per la testa, ruggendo